Sto contattando, solo in Sicilia, centinaia di compagni che rivogliono il P.C.I., che non sanno nemmeno chi sia (ahimè!) Alboresi e che è segretario di un partito!!!
Di questo dovrebbe preoccuparsi la segreteria-dirigenza, anziché fare i duri e difensori di un centralismo democratico che hanno calpestato pur di entrare in una lista di radicali di sinistra, spingendo fuori centinaia di comunisti e intere federazioni e ignorando anche chi, pur votando p.a.p., ha espresso profondo dissenso su tale scelta.
Sarebbero ancora in tempo per fare un gesto nobile e mettersi da parte o ammettere, senza scandalo per nessuno, l’errore e iniziare per davvero la ricostruzione del P.C.I., senza pregiudicare ulteriormente anche un possibile dialogo, serio, ma in prospettiva, con le altre formazioni di sinistra.
Per decenni la storia del nostro paese ha visto fiorire formazioni più o meno radicali distinte dal grande P.C.I. che hanno avuto, dopo la Bolognina, grazie alla confluenza di una parte di compagni che venivano dal Partito, l’opportunità culturale ed elettorale, (considerati i discreti successi di Rifondazione), di mostrare la bontà di un “percorso comunista” diverso da quello segnato da Gramsci e conclusosi con Berlinguer.
La storia di quell’esperienza, il suo frantumarsi per l’impossibilità di tenere insieme concezioni della prospettiva politica inconciliabili, ha condotto al tragico risultato delle recenti elezioni.
Riemerge oggi potente nei comunisti italiani, l’idea leninista e gramsciana di un partito strutturato e costruttore di un modello di comunità politica pronto a prendere su di sé i destini del paese, concretizzatasi nel Partito nuovo di Togliatti e cresciuta fino ad essere la parte del Paese più coesa e radicata nella coscienza delle masse lavoratrici e perno di rotazione di un blocco storico egemone per il cambiamento, tale da modificare il posizionamento di parti della società più inclini all’”egoismo sociale”, all’individualismo e meno coscienti dell’ineludibile necessità di affermare valori (peraltro ampiamente contenuti nella Costituzione del 1948) di eguaglianza e solidarietà e tesa alla realizzazione di una società con pari opportunità per tutti che superi una struttura sociale basata sullo sfruttamento del lavoro a beneficio dell’arricchimento di pochi.
Le “prospettive” di sinistra radicale, per quanto nobili e rispettabili, restano, al di là dell’evoluzione verso la partecipazione alle competizioni elettorali, lontane dall’aver sciolto il proprio conflittuale e doloroso rapporto con la “sovrastruttura” dell’organizzazione statuale della società; il loro nutrirsi dell’idea del conflitto, al di là della pur lodevole e compassionevole idea del volontariato a favore degli ultimi e delle forme di autorganizzazione proposte, rimane indefinito nel fine e nel progetto di società, e appare una risposta marginale, di cui non viene spiegata la valenza rispetto alla complessità e alla “totalità” dei conflitti e dei bisogni della nostra società.
Al di là delle interessanti analisi di capipopolo, dirigenti e intellettuali sulla Cina, la Corea, il conflitto siriano o le forme del “poder popular” in America Latina, i comunisti italiani sentono la necessità di ricostruire la propria “casa comune” qui e ora, e non abbisognano di iperboliche prospettive analogiche, poiché sanno (=conoscono) qual è lo strumento idoneo alla conduzione della lotta politica, per averne sperimentato l’efficacia e dei cui limiti (certo!) sono consapevoli e desiderosi di studiarne le ragioni ed evitarne il ripetersi degli effetti distruttivi.
I miei ripetuti, forse banali, appelli vengono comprensibilmente ignorati, non avendo personalmente partecipato alle vicende “pubbliche” delle formazioni politiche “comuniste” di questi anni (alle quali pur non ho negato il mio voto), ritenendo, a torto o a ragione, altri compagni più “organici” ai percorsi messi in campo, in cui peraltro non vedevo alcunché di paragonabile al “mio” P.C.I.; ma adesso di quel Partito, almeno nel nome e nei simboli, si tratta e ritengo, prima che un diritto (non essendo un iscritto), un dovere provare a suggerire soluzioni alla “crisi”, ancorché la mia passione per l’organizzazione mi induce, in primo luogo, a lavorare per ritessere tutto il “tessuto comunista” ancora esistente e connettervi i meravigliosi giovani che di esso sentono il bisogno. E, credetemi, è impegnativo e costoso, ma ne vale la pena...

Tony Brusca

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