Proviamo a spiegare il “comunismo” ai più giovani?
(Ma anche a qualche sempliciotto, elettore genericamente di “sinistra”?)
(1^parte)

A semplificare il pensiero di Marx, se ne deduce che la sua preoccupazione fondamentale fosse il superamento dell’alienazione ( = estraneazione) da parte dell’uomo.
In primo luogo la sua attenzione si è concentrata sulle conseguenze del possesso dei mezzi di produzione (terra, macchine, capitali) e del loro uso da parte dei possessori solo ai fini del profitto, con l’appropriazione del plusvalore ( = maggior valore) derivante dalla trasformazione delle materie prime in prodotti finiti e ripagando il lavoro applicato nel corso di tale processo di trasformazione solo in funzione del mantenimento e della riproduzione (prole) del “lavoro” stesso. Tale processo, che nella fase “borghese” della società ha comunque consentito un grande sviluppo delle forze produttive stesse rispetto alle forme storiche precedenti conosciute dalla società umana (comunismo primitivo, e a seguire, i modi di produzione asiatico, antico, schiavista e feudale), presuppone anche il formarsi di rapporti di mercato sul quale i prodotti finiti consentano il concretizzarsi del “profitto” e, progressivamente, l’accumulazione dello stesso, riducendo al minimo i rischi di una erosione del capitale iniziale così accresciuto.
Ciò ha comportato una continua espansione e trasformazione delle metodologie produttive (da ultimo tecnologiche e robotiche), l’incremento dello sfruttamento delle risorse, al limite della capacità di rigenerazione da parte del pianeta (in particolare quelle naturali: suolo, acqua e aria, in primo luogo) o della sua sostituzione (energetiche soprattutto: dal carbon fossile ai fossili minerali, petrolio e gas naturale).
La necessità di espandere i mercati ha comportato la necessità di favorire sia la crescita demografica che l’allungamento della vita media, in specie nelle società “opulente”; tali fattori sono parte del processo di mantenimento della forza lavoro, ma anche fonti di ulteriori e nuovi profitti. Si pensi alle maggiori spese determinate dalla trasformazione delle masse contadine in urbane, sia in termini strutturali (case, strade, servizi), sia di cura delle persone (anche la longevità comporta maggiori spese: dentiere, occhiali, protesi e, soprattutto, una crescita esponenziale di spese per cure e farmaci).
Nella fase iniziale capitalistico-borghese ciò ha fatto propendere gli osservatori “intellettuali” verso l’ammirazione per le “magnifiche sorti e progressive” che si aprivano per l’umanità intera che Leopardi derise già (!) nel 1836 nella sua lirica “La ginestra o Il fiore del deserto”.
(In vero a rileggere il Nostro, fu, al di là del pessimismo apparente, il primo a spingere l’Uomo a rendersi conto dei propri limiti, della propria “inferiorità” rispetto alla natura e, ante-litteram, sommessamente, a non attendere l’intervento della “provvidenza” e per ciò stesso a confidare nelle proprie forze “organizzate” nel suo rapporto con essa.)
Tornando al nostro Marx, egli non concepisce il superamento della società divisa in classi come fine ultimo della sua elaborazione, ma come strumento per ristabilire un equilibrio fra uomo e natura, che mantenendo attivo lo sviluppo delle forze produttive e, quindi, la crescita della società umana, impedisca un crollo della civiltà per l’esaurimento delle risorse, la sovrappopolazione rispetto ad esse, o la “ribellione” del pianeta contro l’uomo.
A distanza di due secoli dal mondo in cui visse lui, oggi a noi è ( = dovrebbe) essere chiaro che la sua “profezia” era pienamente fondata. Possiamo continuare a trivellare l’Artico (e magari l’Antartide!!!) per avere il petrolio che ci serve, ma non abbiamo neanche lontanamente idea di quanto il “mantello” possa essere “indifferente” alle attività umane e alle modifiche che con esse apportiamo sui 10 km della crosta terrestre su cui agiamo, talvolta con violenza; e ignorare le alterazioni climatiche che ciò induce: l’Artico negli ultimi 25 anni è diventato praticamente navigabile per intero, dal Canada, alla Groenlandia, alla Russia. O ancora completare il disboscamento dei grandi polmoni verdi della terra (Amazzonia e Foreste Equatoriali africana e asiatica) e continuare a consumare enormi quantità di acqua per realizzare città nel deserto (in Arabia, Arizona/Nevada, Australia). Possiamo infine pensare i mari (e i fondali Oceanici, che non vediamo) come discariche dei nostri rifiuti umani e industriali e la stessa atmosfera come una componente inesauribile e indistruttibile a nostra disposizione. E illuderci di tamponare, magari a cominciare dal 2020… ma no dal 2030, vabbè facciamo 2050!, i danni già fatti con riconversioni “ecologiche” che richiederanno nuove risorse e, probabilmente, nuovi rifiuti.
Il solito comunista catastrofista!!! Possibile…o forse no ?.
(Fine 1^ parte – A domani)

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