Reddito di cittadinanza e centri impiego

Se fossimo davvero comunisti e/ almeno di sinistra ci cimenteremmo nel compito, come ho più volte detto, di analizzare la realtà per criticare le misure messe in atto ma anche anzi sopratutto per proporre soluzioni alternative.

Sono il meno adatto al compito, non ho studiato massimi sistemi, purtuttavia trovandomi a scrivere su un profilo che formalmente, anche se non pure sostanzialmente, mi appartiene, una mia osservazione voglio farla e la faccio sul tanto decantato e vituperato “reddito di cittadinanza”.

Ora a parte che non vi è nulla di originale – Democrazia Proletaria proponeva già trent’anni fa il “salario minimo garantito” che era pur altra cosa ma sempre a sostegno delle fasce deboli della popolazione – da comunista credo che l’aspetto positivo di esso sia la riforma dei centri per l’mpiego e provo a spiegarne la ragione: così come si sono nel tempo burocratizzati ed alla luce della direzione presa dalla politica in Italia e in Europa, i centri per l’impiego erano solo utili ad occupare i dipendenti che vi lavorano. Sostanzialmente il loro posto, nella società liberista, era stato preso dalle agenzie interinali che di fatto erano, e sono, lo strumento di chi è economicamente potente per creare dipendenti a basso costo.

Doverso un breve inciso: mi sto sforzando a non utilizzare termini che spesso, a ragione, i comunisti utilizzano e non perché non ritengo questi – vale a dire sia i comunisti che i termini – all’altezza di descrivere la moderna situazione ma perché ho sempre sostenuto che per farsi minimamente ascoltare c’è bisogno di cambiare almeno formalmente i termini usati.

Ciò detto torno all’argomento.

Una riforma dei centri per l’impiego era ed è necessaria affinché, riacquistando conoscenza del cosi detto “mercato del lavoro”, possano essere in grado di mettere veramente in contatto chi cerca un impiego con chi ha necessità di dipendenti.

Tutto questo fatto sotto la guida di agenzie private ha prodotto i risultati già detti, si spera che fatto sotto la guida dello Stato possa generare un circuito virtuoso.

Lo credo perché altrimenti dovrei rinnegare la mia fede nel sistema pubblico ma ancor più lo credo perché se è lo Stato vale a dire chi detta le “regole del gioco” ad organizzare questo delicato settore allora avrà strumenti, modi e mezzi per ovviare agli inconvenienti che ovviamente si presenteranno lungo il percorso.

Bisogna riflettere anche su un altro aspetto: il controllo popolare, sia pure indiretto.

Se è il Governo che ha la maggioranza nel Parlamento ad organizzare questo sistema allora è permesso, con tutti i limiti che potrebbero formare oggetto di altra analisi, ai cittadini in quanto elettori premiare o punire gli artefici e i gestori di tal sistema.

Inutile credere che le votazioni non servono a nulla perché sarebbe come gettare la spugna e secondo me per un comunista che aspira a cambiare il mondo ogni strumento deve essere utile o meglio deve essere utilizzato; a meno che non si decida di fare già ieri la rivoluzione armata.

Mi fermo perché credo di aver toccato un altro nervo scoperto: compagni siete sicuri di essere pronti per la rivoluzione – armata, culturale o di qualsivoglia genere – tenedo presente che questa comporterà sacrifici in primis per i primi rivoluzionari?

Pronti!?

Via ...

 

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