Sto vivendo da migrante, lontano da casa, lontano dagli affetti che non sono mia troppo lontani se lo spirito ci lega.

Noto che molti si adattano, si adagiano a questa situazione e talvolta tornare indietro provoca dei problemi specie se ci si è adattati ad uno stile di vita diverso dal nostro, dal precedente vissuto.

Ma da questo a voler considerare l’idea di rimanere per me ce ne passa; amo la mia terra che forse mi odia ma siccome quel sentimento negativo non mi appartiene continuo ad amare la Sicilia.

Vivere lontano da casa mi ha fatto rivalutare tante cose e soprattutto le mie capacità di adattamento, di comprensione e quella "insana" voglia diventata ormai volontà di cambiare il mondo, fosse anche di spostarlo di un millesimo di millimetro verso una direzione diversa, verso quella che ritengo giusta.

Mi sono però accorto che tanti, dopo qualche tempo e neanche tanto, si adagiano più che adattarsi alla nuova situazione ed in un primo momento l’idea di non tornare, di rimanere sfiora, accarezza - ed in questo la martellante propaganda che certi posti siano già nel futuro fa la sua non indiscreta parte - la mente di tanti nella mia stessa situazione; idea che col tempo si trasforma prima in convinzione e poi in odio verso al propria terra di origine quasi quel distacco sia stata colpa della terra e non degli uomini che vi abitano.

Allora bisognerebbe riportare la questione nella sua giusta dimensione: sono gli esseri umani, noi compresi, che creiamo la società e se oggi in Sicilia non si può vivere come vorremmo la responsabilità è degli esseri umani, noi compresi.

Ho sempre detestato l’assunto siciliano,credo genericamente meridionale, che “cu nesci, arrinesci”, traduzione di quel latino “nemo propheta in patria” perché non credevo e non credo che a lasciare la propria terra siano i migliori; sono semplicemente quelli che non ce l’hanno fatta a rimanere a volte per scelte indipendenti dalla loro volontà.

Ma tornando a chi si adagia.

Riflettevo che questa è la vittoria dell’ipocrisia e della borghesia, oppure alternativamente dell’una o dell’altra, provo a spiegarmi.

Credo e temo che spesso chi si trincera dietro a frasi denigratorie verso la propria terra di origine lo fa per celare il disagio che prova a vivere in una realtà diversa dalla propria oppure lo fa per compiacere la terra che li ospita. Per costoro una sola risposta: siamo tutti ospiti, neanche tanto desiderati, di questo pianeta che, pertanto, è casa nostra; impariamo a volergli bene a prescindere dalle coordinate (e non mi riferisco a quelle bancarie).

Il discorso sulla vittoria della borghesia è più dannatamente semplice: impoverire determinate zone è, almeno dal 1870, obiettivo della borghesia che punta a cacciare la gente da posti ambiti per ridurre i costi delle proprietà terriere e così impiantarsi lì risparmiando e soprattutto non avendo a che fare coi locali che, spinti verso la spiaggia, sono costretti a prendere il largo su navi di ventura. Questo lo ha già spiegato meglio di me un tizio che scriveva libri per i comunisti poi letti e capiti meglio, a mio modo di vedere, dai capitalisti.

Provate a fare un giro nel mio paese, Racalmuto (AG) e nei paesi limitrofi, provate a chiedere a qualche agenzia immobiliare chi è che acquista case specie nel centro e capirete che il fenomeno è ormai in quella seconda fase: il capitale sta comprando i posti migliori a poco prezzo dopo averci fatto credere che sono i peggiori: un capolavoro!

Già perché se mai lontanamente ci fossimo accorti del fenomeno ci saremmo barricati a difendere le nostre case, la nostra terra ed invece oggi siamo al punto di chiamare terroristi chi lo fa.

Sempre terronista, sto sempre con gli ippopotami e mi sto stancando di sperare che me la cavo.

 

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