Il pensiero di Democrito fa capire che l’anarchia e lo stato possono (e devono) coesistere. Come anche il materialismo e la religione.

“Le leggi non impedirebbero a ciascuno di vivere come più gli piace se gli uomini non si facessero del male a vicenda: è l’invidia, infatti, la causa della discordi”.
Da ciò risulta come per Democrito le leggi, restrittive della libertà individuale e personale, siano in un certo senso un “male” indispensabile, necessario: esse limitano la libertà a tutti per assicurare, a ciascuno, benessere, incolumità e quindi la possibilità di vivere nella società in mezzo agli altri uomini.
In aggiunta, se gli uomini non si facessero male reciprocamente, le leggi non impedirebbero a chiunque di vivere com’egli voglia.

Il sapiente, che vive secondo il dover essere, deve non obbedire alle leggi, ma condurre una vita secondo libertà.

Se esistessero solo i sapienti non vi sarebbe bisogno di leggi per gli uomini. “Ogni terra è aperta al sapiente: infatti di un’anima perfetta patria è l’intero universo”.
Se gli uomini fossero tutti saggi, agirebbero ciascuno secondo virtù, quindi tutti seguirebbero le medesime regole e non vi potrebbero essere, tra loro, contrasti. Ciò pone un problema. Democrito sa che gli uomini non sono così. La legge solo “a chi la obbedisce mostra la sua virtù”. È necessario procedere per gradi. Prima di arrivare alla sapienza bisogna imparare ad essere un buon cittadino. Lo Stato diventa nel sistema di ragionamenti democritei una sorta di “male necessario”. Sarà logico attendersi che il filosofo prediliga il regime democratico.

Chi è stato formato dal filosofo non farà mai il male perché la sua coscienza glielo vieta. Ecco perché si trovano, per così dire, due serie di frammenti in Democrito: una esortante gli uomini a rispettare la legge affinché rispettandola conseguano anche il proprio utile; l’altra a fare il proprio dovere, sempre e comunque, e a provar vergogna del male compiuto o anche solo desiderato, davanti a se stessi, prima che davanti agli altri.

Democrito nega l’esistenza degli dei eppure dice: “agli dei son cari soltanto quelli che hanno in odio il commettere iniquità”.

Per l’uomo comune l’argomento della giustizia divina risulta davvero utile; lo stesso Democrito osserva che coloro che non hanno raggiunto il livello di sapienza che la filosofia è in grado di donare, ma che tuttavia hanno coscienza di fare il male, si tormentano tutta la vita pensando all’aldilà. Democrito ritiene che la fede nell’esistenza divina sia nata proprio dal terrore che certi fenomeni naturali suscitavano nei primitivi.

Ma accanto alla φύσις, la natura, il filosofo pone la τροφή, l’educazione, asserendo anzi che: “sono più quelli che diventano saggi grazie all’esercizio che quelli tali per natura”; infatti “l’insegnamento con le fatiche da sostenere, porta a compimento le cose belle”

Questi frammenti, mentre riaffermano in maniera sicura le differenze naturali tra uomo e uomo, dimostrano la serena fiducia che il filosofo ripone nell’opera della ragione, che sa educare e trasformare. È una fede davvero illuministica, nelle forze e nelle possibilità della ragione umana, che induce Democrito ad affermare: “la natura e l’educazione sono simili. Infatti l’educazione trasforma l’uomo e trasformandolo lo rende quale la natura non l’aveva fatto”.

Egli ha anche consapevolezza della difficoltà estrema che si frappone al compimento di una tale opera e quindi formula, in un certo senso, due programmi: il massimo e il minimo. Il massimo è l’ideale del cosmopolitismo, per il sapiente, il minimo è l’ideale dello Stato democratico, per il buon cittadino. Abbiamo visto che il collegamento tra un ideale e l’altro è teoricamente creato nella figura del filosofo che è anche educatore; la possibilità di coesistenza del filosofo “saggio” e dell’uomo comune, buon cittadino, è data dal concetto della solidarietà, nel senso di concordia.
L’osservazione attenta e acuta della realtà doveva mostrare a Democrito, però, che al mondo non ci sono unicamente i sapienti e i buoni cittadini, ma ancora una terza categoria di uomini, che il filosofo chiama ανοήμονες, gli stolti.
Per lui sono quelli che “regolano la loro condotta secondo i benefici della sorte”, per “imparare ad essere moderati quando la sventura li colpisce”, perché “per gli sciocchi non la ragione, ma la sventura è maestra”.

Essi “vivono senza godere della vita”, perché “è per paura della morte che desiderano vivere e invecchiare. Bramano vivere una lunga vita senza saper godere di una lunga vita” e “desiderano ciò che non hanno, mentre non sanno trarre frutto da ciò che hanno, anche se esso sia più vantaggioso di quello che avevano prima”.
Democrito diceva inoltre che “il vivere male e non saggiamente né moderatamente né piamente non è un viver male, ma un lungo morire”. Gli stolti dovrebbero quindi capire che “meglio è per gli stolti esser comandati che comandare”; ma “i malvagi quando assumono cariche pubbliche, quanto più sono indegni di assumerle, tanto più sono negligenti e si gonfiano di stoltezza e sfrontatezza”.

Il filosofo definisce poi i rapporti che il saggio può avere con lo stolto; in una parola: nessuno. Il primo non degnerà il secondo neppure di uno sguardo: “dei biasimi dei malvagi il buono non tiene conto”.

Anche il buon cittadino non deve macchiarsi di colpevoli patteggiamenti nei riguardi dei malvagi, dice Democrito; bisogna essere molto severi e applicare contro di essi le leggi in tutto il loro rigore.

“I malvagi sono come le fiere e i rettili, che tutti sono pronti ad eliminare”: perciò è necessario fare la stessa cosa nei riguardi degli uomini malvagi, con tutti i mezzi leciti e legali. In linea generale “bisogna a tutti i costi impedire l’ingiustizia”; non cooperare mai con chi compie l’ingiustizia, né mai voler compiere l’ingiustizia.
L’uomo democriteo è una sorta di microcosmo, qualcosa che in sé ripete e rispecchia l’ordinamento dell’universo, cioè una gerarchia di valori: la stessa tripartizione valida per le facoltà dell’uomo, sussiste anche nell’umanità che risulta formata dal complesso di tutti gli uomini.

L’etica democritea rivela così di essere fondata su un principio analogo a quello che è fondamentale per la sua filosofia. Nell’umanità si distinguono i sapienti, i filosofi, a cui spetta la funzione di educare e guidare spiritualmente il resto dell’umanità; gli uomini rispettosi della legge, ovvero i buoni cittadini che comandano e sono comandati; e infine, gli stolti, per i quali è meglio essere comandati.
Nel campo dell’etica, Democrito non ignora quale importante fattore sia la volontà dell’uomo e come sia necessario che quest’ultimo voglia essere giusto affinché possa diventare tale.

In questo si spiega, e perciò si elimina, ogni contrasto e contraddizione tra le differenti affermazioni del filosofo il cui ideale di vita potrà benissimo definirsi un individualismo, purché si tenga presente che tale individualismo è fondato sul riconoscimento di un sentimento di solidarietà, che deve legare tutti gli uomini, e che, s’intende, è dal filosofo postulato.

È un individualismo particolare quello di Democrito, perché abbraccia in ogni caso tutta l’umanità, essendo cosciente che ciascuno, col realizzare in sé l’ideale dell’eutimia, coopera indirettamente alla felicità di tutti in generale e nello stesso tempo influisca sull’educazione degli uomini.

L’uomo è un microcosmo, un insieme di atomi e vuoti, e il suo destino è lo stesso del cosmo a cui appartiene. Fine dell’uomo è il mantenimento dell’equilibrio, cioè, la serenità dell’animo.

17 luglio 2020

Irina Brashchayko

You have no rights to post comments

Powered by OrdaSoft!