Il 17 novembre 1903 il Partito Operaio Socialdemocratico Russo si separò in due frazioni inconciliabili: i bolscevichi (da Bolshinstvo – “maggioranza” in russo), capeggiati da Lenin, e i menscevichi (dal russo Menshinstvo, “minoranza”), guidati da Martov. Menscevichi in realtà erano la fazione maggioritaria del partito, tuttavia i nomi menscevico e bolscevico facevano riferimento al voto riguardante la forma del partito (di quadri o di massa) tenutosi in quel congresso. Nonostante questa separazione Martov si trovò sempre all’ala sinistra della frazione menscevica e supportò la riunificazione con i bolscevichi nel 1905. Purtroppo questa fragile unione ebbe vita breve, e già nel 1907 i due gruppi si erano separati nuovamente. I menscevichi si opposero sia alla “rivoluzione permanente” di Trockij quanto alla teoria del partito di Lenin, rimanendo fedeli alla rivoluzione spontanea. Secondo loro la rivoluzione doveva essere fatta dal popolo, ed anzi era la dimostrazione del fatto che il popolo avesse la capacità di governarsi da sé.

Quando i Bolscevichi salirono al potere, Martov venne emarginato politicamente. Martov era fermamente convinto che l’unico modo per evitare la guerra civile fosse un governo democratico unito basato sui soviet. Il suo discorso alla riunione del Soviet venne accolto da scroscianti applausi. Tuttavia, la fazione di Martov restò isolata, e la sua idea venne criticata e fermamente condannata da Trockij. Lo strappo irrimediabile con i bolscevichi venne esemplificato infatti dai commenti fatti da Trockij: «Siete solo dei patetici individui isolati; mirabili bancarottieri; siete fuori dai giochi. Andatevene nel luogo al quale appartenete d’ora in poi… nel bidone dell’immondizia della storia!». A queste offese Martov replicò in un momento di rabbia: «Allora ce ne andiamo!», e si incamminò in silenzio fuori dall’aula senza voltarsi indietro. Prima di uscire, però, si fermò un attimo, vide un giovane bolscevico in piedi nell’ombra del portico. Il ragazzo insultò Martov definendolo un traditore, al che egli rispose: «Un giorno capirai la portata del crimine al quale stai prendendo parte».

Per qualche tempo ancora, Martov continuò a capeggiare il gruppo menscevico all’opposizione all’interno dell’Assemblea Costituente fino a quando i bolscevichi non la abolirono. Durante la guerra civile russa, Martov supportò l’Armata Rossa contro le forze controrivoluzionarie dell’Armata Bianca; tuttavia, egli continuò a denunciare la persecuzione degli oppositori politici non-violenti del bolscevismo, fossero reazionari socialdemocratici, anarchici, o giornalisti.

Parlando del Terrore rosso, Martov disse:

«La bestia ha assaggiato il sangue umano caldo. La macchina ammazza-uomini si è messa in moto… ma sangue chiama sangue… Siamo testimoni dell’inasprirsi della guerra civile, della crescente bestialità degli uomini coinvolti in essa».
Nell’ottobre 1920, a Martov venne concesso di lasciare la Russia per recarsi in Germania. Il mese seguente egli tenne un discorso al congresso del Partito Socialdemocratico Indipendente di Germania. Martov non aveva previsto di restare in Germania a tempo indefinito, e solamente dopo la messa al bando del partito menscevico nel marzo 1921 da parte dei bolscevichi, decise di non tornare in Russia. Martov morì a Schömberg, Germania, nell’aprile 1923. Poco tempo prima di morire, fondò il giornale Messaggero Socialista, organo ufficiale dei menscevichi in esilio a Berlino, Parigi e New York. Si è vociferato che Lenin, all’epoca già gravemente ammalato e preoccupato dall’ascesa di Stalin all’interno del partito, possa aver fornito fondi a Martov per questa sua ultima avventura. Sembra proprio che Lenin, che aveva più volte espresso dispiacere per il profondo dissidio con quello che fu uno dei suoi primi compagni di lotta, dopo l’ictus che lo ebbe colpito nell’aprile 1922, cercò di riallacciare rapporti di collaborazione politica con Martov rendendosi conto, nella circostanza in cui aveva perso la leadership, del fallimento insito nell’autoritarismo bolscevico. Fu comunque troppo tardi: anche Lenin morì pochi mesi dopo, il 21 gennaio 1924.

Nel “Distruzione o conquista dello stato” scritto nel 1919 Martov critica teoricamente il potere bolscevico. Rifacendosi alle valutazioni di Marx ed Engels sulle precedenti esperienze rivoluzionarie del proletariato (soprattutto la Comune di Parigi del 1871) insiste sul fatto che la dittatura del proletariato è da intendersi come la conquista da parte di questa classe delle istituzioni democratiche, con l’appoggio della piccola borghesia e dei contadini, e non come il monopolio del potere da parte di un’unica minoranza, pur cosciente.

Martov venne descritto “troppo buono ed intellettuale per essere un politico di successo”, in quanto spesso veniva tenuto a freno dalla sua integrità morale, e dall’approccio filosofico alla politica. Tendeva a scegliere gli alleati politici in base alla loro coerenza, piuttosto che alla convenienza o alla praticità del momento. Inoltre, i nobili principi di Martov lo rendevano troppo “morbido” ed indeciso con gli avversari politici.

1 giugno alle ore 20:45

 

Irina Brashchayko

 

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