Chiamare fascisti i fascisti

“[Dato che] questo presidente statunitense è il Babau dell’establishment politicamente corretto, e fioccheranno i distinguo, le minimizzazioni, i tardocomplottosimi che attecchiscono sempre sulla piaga purulenta dell’antiamericanismo europeo ed italiota.
Essendo qui immuni da simili virus ideologici, possiamo dirlo: grazie, presidente, hai agito da autentico comandante in capo del mondo libero, non con la retorica pseudoumanitaria di quel Barack Obama che il Medio Oriente l’aveva viceversa infiammato, ma con la reattività decisionale dei raid, dell’idea e della sua esecuzione, il capo dei macellai Isis scovato nella sua tana maleodorante nella Siria nord-orientale, inseguito nei cunicoli del compound e infine costretto a farsi saltare in aria, perché solo così queste escrescenze dell’umanità devono finire”.

Questo il sobrio commento di Sallusti a proposito dell’operazione militare - dai contorni ancora piuttosto opachi - che ha portato alla morte di Al-Baghdadi, l’ultimo leader dell’Isis, e dei suoi tre figli. Lo ha scritto per Libero.

Sono poche righe, ma bastano a delineare il personaggio.

Sa di poter attaccare un bersaglio facile (chi vuoi che difenda il capo di Daesh?), e lo fa usando una violenza inaudita. Il suo intento è chiaro: usare l’Isis come testa di ponte per dimostrare che l’islam, tutto l’islam, deve essere sterminato.

E in guerra, ogni arma è lecita. Sallusti usa le parole, o meglio un mix di tanti elementi “vintage”, ovvero: i) retorica da Istituto Luce; ii) quintali di atlantismo declinato nella versione del più becero servilismo; iii) pratiche di de-umanizzazione dell’avversario in stile nazista; iv) adulazione dell'uomo forte, del "comandante in capo"; v) e, ovviamente, necrofilia, tanta necrofilia, mascherata da sete di giustizia.

Insomma, quelle di Sallusti sono le parole di un fascista. Non di un post-fascista o di un neo-fascista: di un fascista.

Di un fascista che ogni sera viene ospitato in tv, in qualità di opinion leader.

Di un fascista a cui viene data una legittimità inaudita, soprattutto nei salotti (televisivi) buoni della sinistra.

Di un fascista che nessuno vuole chiamare fascista.

Ed è un errore.

Perché a furia di non chiamare le cose con il loro nome, i nomi sbiadiscono, le responsabilità si diluiscono, il discorso pubblico si polarizza a destra.

Per questo dobbiamo ostinarci a chiamare fascisti i fascisti. È un atto di resistenza, non una questione privata.

28 ottobre 2019

Daniele Zito


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