Sulla pelle degli altri

Prima le cose grosso modo andavano così: su territori definiti da frontiere, si affermava un potere pubblico (lo Stato), chiamato a regolare e mediare (governare) i conflitti di una collettività (i cittadini) con diversi strumenti, tra cui quelli giuridici (le norme).

Adesso, è tutto saltato: abbiamo territori senza governi (e.g. la Libia), frontiere mobili (e.g. Libia, Turchia, Siria, Iraq, etc), regolazioni globali dettate da regolatori senza territorio (troika, ONU, Nato, Banca Mondiale, etc), unità sovrastatali che acquistano lentamente quote crescenti di sovranità su territori statali (e.g. UE), persone residenti su un territorio prive di diritti ( i migranti) che convivono con persone residenti su un territorio che hanno solo un insieme parziale di diritti (i migranti normalizzati, ma comunque privati dei loro diritti politici) che convivono, a loro volta, con persone residenti su un territorio definite ”cittadini” a cui sono riconosciuti tutti i diritti.

Un macello.

A complicare il quadro, c’è un’evidenza sotto gli occhi di tutti: i fenomeni migratori stanno raggiungendo numeri mai visti in passato.

Le diseguaglianze crescenti, la frammentazione del mercato del lavoro e la globalizzazione spingono masse enormi di persone da una parte all’altro del globo. Dall’Africa verso l’Europa, dall’Europa del sud e dell’est verso l’Europa del nord, dal Sudamerica verso gli Stati Uniti, eccetera, eccetera, eccetera.

Non è un’invasione, è un processo storico.

Il mondo sta cambiando. E con esse le strutture politiche che lo governano.

E noi, qui in Italia, come proviamo a rispondere a tutto questo?

Da destra, riproponendo un’agenda politica ottocentesca (sovranità, porti chiusi, elogio dello schiavismo, teorie lombrosiane, soros e complotti vari, et.); Da sinistra balbettando, o, peggio, proponendo la manipolazione delle frontiere come unica soluzione possibile (la famosa linea Minniti).

Che la destra avrebbe reagito in questo modo era piuttosto scontato. Ha sempre reagito così, è nel suo dna.

La reazione della sinistra era molto meno scontata.

Ma andiamo con ordine.

La Repubblica oggi titola: L’Europa s’è desta.

L’occhiello è più esplicito: “Italia e Malta firmano un accordo con Francia e Germania per la redistribuzione automatica dei richiedenti asilo. Si punta ad allargarlo ad altri Paesi. Il trasferimento vale solo per chi viene soccorso in mare, non per chi sbarca sulla costa”.

Cos’è successo?

A Malta si è tenuto un vertice tra Ministri dell’Interno di cinque paesi chiave dell’UE: Italia, Francia, Germania, Malta e Finlandia il cui esito è stata una bozza di riforma parziale del regolamento di Dublino che verrà sottoposta al Consiglio degli Affari Interni Ue. Lì dovrebbe raccogliere il consenso di altri Paesi membro che su base volontaria dovrebbero accettare di farsi carico (sulla base di quote predefinite) dell’accoglienza e degli eventuali rimpatri di migranti economici soccorsi in mare da ONG, navi militari o navi commerciali. Una volta soccorsi, avranno l’obbligo di iscriverli nella propria banca dati, cancellandoli da quella del Paese di primo approdo privandosi così della possibilità di rimandarli nuovamente in Italia o Malta.
Tale accordo, qualora sia ratificato, scatterà ogni qualvolta una nave di soccorso chiederà un porto sicuro evitando così di costringere i migranti a disumane attese.

Il nuovo ministro dell’Interno, Lamorgese, gongola: “Da oggi l’Italia può dire di non essere più sola. Viene accettato per la prima volta il principio che chi arriva in Italia e a Malta arriva in Europa”.

Non lo dice, ma tra le righe il messaggio è chiaro: ho ottenuto più io in un solo vertice, che Salvini in un anno di governo.

E la parte “rossa” del nuovo governo giallo rosso esulta: tra i patti politici stipulati col M5S per dare vita al governo c’era la ricerca di una soluzione condivisa a livello europeo al problema dei migranti. Avendola ottenuta, possono almanaccare l’accordo come una vittoria, da spendere politicamente quando il gioco si farà duro.

Tutto risolto, dunque?

No, purtroppo no.

L’accordo riguarda unicamente chi viene soccorso in mare, non vale per chi sbarca in maniera autonoma, ossia la maggioranza dei migranti. Portando a campione i dati dell’ estate appena trascorsa, parliamo di circa 1.500 persone su un totale di 6.500. Poco meno del 25%. Certo: sono gli sfortunati su cui la macchina di propaganda salviniana si era fiondata, ma restano comunque solo il 25%, una minoranza.
Per il restante 75% vale ancora il regolamento di Dublino.

Fatto ancor più grave: Il decreto sicurezza non è stato messo minimamente in discussione.
Conte, oggi, lo ha ribadito in molte dichiarazioni. Una su tutte: “Abbiamo un decreto sicurezza che non dismettiamo. Anche nel programma di governo abbiamo concordato di recepire le indicazioni di Mattarella, ma senza abbandonare uno strumento che consente di controllare le nostre acque territoriali: si entra alle condizioni che diciamo noi, quando e come decidiamo noi”.

Lo stesso vale per l’idea secondo la quale il problema migratorio si risolve lavorando sulla cooperazione dei Paesi di origini e transito, e rafforzando la Guardia costiera libica: anch’essa è ancora dominante nella strategia di governo.

È un’idea oramai vecchia. Solitamente viene attribuita a Minniti, anche se ha origini molto più remote.

Sopra la racchiudevo in una definizione abbastanza agevole: manipolare le frontiere.

Propone di spostare i confini dell’Europa sotto il Mediterraneo, nei paesi dell’Africa Settentrionale, in modo da poter contenere meglio (e reprimere lontani da sguardi indiscreti) la pressione migratoria.

Erdogan, su questa idea qui, ci ha costruito un impero.

L’Europa paga (in termini economici e in termini politici) la Turchia per mantenere sul proprio territorio quasi un milione di profughi siriani.

Minniti (e molti altri prima di lui) ha proposto di fare lo stesso con la Libia, fingendo di non vedere il caos che il post Gheddafi ha creato nel Paese.
Spostiamo i confini là, si è detto, facciamola diventare un’enorme hotspot. Solo che si è imbattuto in tre enormi difficoltà: 1. non ha spiegato come finanziare questo progetto; e 2. in Libia la situazione è precipitata, i clan sono tornati a farsi una guerra feroce e sanguinaria; 3. la migrazione è un business.

Non parliamo solo di catastrofi geopolitiche, ma di corpi che si sono trasformati in strumenti di valorizzazione del capitale.

I centri in cui sono detenuti sono privati. Vengono inflitte loro torture filmate ad arte per chiedere dei riscatti ai loro famigliari. Nella quasi totalità dei casi sono costretti a prostituirsi, a lavorare in condizioni di semischiavitù, a barattare dignitià per un tozzo di pane. Quando finalmente riescono a partire, sono fagocitati dalla retorica sovranista, diventano dei spot viventi per alimentare il mito dell’invasione.

Tutto questo non l’ha creato la politica di Salvini. c’era già prima.

A conti fatti, non c’è mai stato un vero cambio di strategia tra Minniti e Salvini. Entrambi hanno puntato tutto sullo spostamento dei confini europei. Solo che Salvini è stato più cinico: ha usato i corpi dei migranti anche per farsi una lunga e sfiancante campagna elettorale.
Ha sostituito la cosmesi col megafono.

Adesso stiamo tornando a sostituire il megafono con la cosmesi.
Non più “Porti chiusi” ma “L’Europa s’è desta”. Cosmesi, appunto.

I porti, però, restano chiusi lo stesso. Magari non ce lo diciamo più (e, visti i tempi, sembra già un enorme risultato) però la sostanza è rimasta immutata: chiusi erano e chiusi sono.

E assieme ai porti, restano chiusi gli aeroporti e i centri di detenzione in Libia.

Insomma, di sinistra, in tutta la discussione sulla gestione dei flussi migratori se n’è vista poca, anzi pochissima.

Una sinistra reale avrebbe dovuto dire cose molto differenti.

Avrebbe, innanzitutto, dovuto rifiutare in blocco la distinzione assurda tra migranti per motivi umanitari e migranti economici. Fa gioco solo alle pratiche discorsive della destra, assumerla come propria è semplicemente suicida.

Avrebbe poi dovuto aprire porti e aeroporti, proponendo una riforma radicale dei visti, introducendo il visto per la ricerca di lavoro; agendo sui ricongiungimenti famigliari; elaborando un meccanismo serio di utilizzo degli sponsor; riformando la legge sulla residenza; pressando affinché in Europa sia riconosciuto il diritto d’asilo europeo.

Proseguendo, avrebbe dovuto porre con forza il problema delle condizioni dei migranti che già lavorano sul nostro territorio: introducendo salari minimi specie in tutti quei settori non coperti dalla contrattazione collettiva; garantendo il permesso di soggiorno a tutti coloro che denunciano una situazione di sfruttamento lavorativo; creando nuovi istituti di tutela specifici che garantiscano i legami del migrante con il paese di origine; assicurando la parità di trattamento tra cittadini e migranti nell’accesso agli alloggi pubblici e in tutte le prestazioni di sicurezza sociale; avviando controlli più accurati sul caporalato.

E se poi avesse voluto volare alto, avrebbe anche potuto anche chiedere un nuovo dettato costituzionale basato sulla residenza e non più sulla cittadinanza. Deve essere la residenza che assegna i diritti sociali, civili e politici, non la cittadinanza intesa in senso restrittivo.

Altrimenti il principio cardine di ogni democrazia (quod omnes tangit ab ominibus approbetur – ciò che riguarda tutti, deve essere approvato da tutti) non può banalmente avere luogo.

Quando parliamo di “unità di tutti gli sfruttati” parliamo di queste cose qui, non della sobrietà del ministro Lamorgese e del fatto che non abbia twitter.

Quella è e resta cosmesi. Niente di troppo importante. L’ennesimo segnale che la sinistra in Italia, perlomeno finora, è un campo vuoto.

24 settembre 2019

Daniele Zito

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